CINEMAMBIENTE 27 - "Bangarang", bambini a Taranto
Bambini a Taranto: si potrebbe sintetizzare così, in tre sole parole, tutto ciò che mostra al pubblico "
Bangarang" di
Giulio Mastromauro (qui al suo esordio nel lungometraggio documentario, in attesa del suo primo lungo di fiction).
Tre sole parole che però nascondono mondi e destini, sogni e speranze, seguendo ciò che lo stesso titolo (una parola giamaicana che significa
tumulto, disordine, caos) lascia intendere: la camera di Mastromauro - che già aveva dimostrato di saperla condurre con maestria a 'misura di bambino' nel suo premiatissimo corto
Inverno - fluttua tra loro e ce li mostra veri, sinceri, sfrontati come raramente accade al cinema.
Sullo sfondo delle vite di questi bambini e bambine c'è una minaccia (non più minaccia ormai, in effetti: una condanna), quella dell'
ILVA, che non è per loro neanche più una fabbrica ma è un soggetto a sé, presenza inevitabile e sorte incontrovertibile: ma il regista non la usa come base per un discorso politico a tesi, la mostra perché è lì, perché non potranno non farne i conti (ma le loro famiglie, se non loro, lo stanno già facendo). Qualche scorcio sopra i tetti di Taranto, qualche scritta sui muri, qualche accenno: l'ILVA c'è, un nemico invincibile che uccide con la sua sola esistenza.
Ma i protagonisti di "Bangarang" giustamente non ci pensano: giocano, con giochi d'altri tempi che sembra quasi irreale veder fare oggi, divagano, immaginano un futuro di lavori semplici (quante estetiste potranno servire?), ridono, si incuriosicono della "macchina cinema"... e gli adulti che fanno, mentre loro ballano e cercano di continuare a essere bambini?
Mastromauro dimostra di conoscere il cinema, di avere un grande talento nel saper posizionare la camera e scegliere cosa (e come) riprenderlo. Non è poco, anzi: il tumulto-disordine-caos di "
Bangarang" è gestito al meglio, un'esperienza visiva e umana che resta nel cuore.
07/06/2024, 12:16
Carlo Griseri