Note di sceneggiatura de "Il Ragazzo dai Pantaloni Rosa"
Non conoscevo la storia di Andrea. Nel corso degli anni mi sono imbattuto in molte storie, molti volti, molti Andrea che combattevano la loro battaglia personale, ma che, a differenza di lui, erano riusciti a sopravvivere e pian piano a voltare pagina. Ma non conoscevo la storia di Andrea. È capitata per caso sulla mia bacheca di Facebook, lo stesso social network che alcuni suoi coetanei utilizzarono per dileggiarlo ferocemente. Ho trovato questa coincidenza illuminante: come lo stesso strumento possa essere utilizzato contemporaneamente per fare attivare un circolo virtuoso ma anche dare vita ad un circolo vizioso. Come possa un qualsiasi social network sia creare che uccidere. Esattamente come le parole. Quelle che hanno ucciso Andrea. Ma anche quelle che, attraverso la mia sceneggiatura trasformeranno la sua tragica vicenda in monito, consolazione, denuncia e, auspichiamo, pacificazione. Ma le Parole hanno avuto un complice micidiale e altrettanto responsabile per la scelta drammatica di Andrea. Un complice astuto perché essendo esattamente l’opposto delle Parole ci induce a pensare di essere nostro alleato: il Silenzio. Scrivendo la sceneggiatura, volevo far attraversare allo spettatore tutti gli stadi della crescita, dalla spensieratezza dell’infanzia ai dolori dell’adolescenza, raccontando una storia vera, drammatica, senza il bisogno di colorarla a tinte fosche, mostrando con un certo realismo come il dramma possa nascere anche in contesti apparentemente protetti. Non è stato facile. Riuscire a tratteggiare una personalità quale quella di un ragazzo apparentemente felice che fino al suo tragico gesto non aveva dato segnali di disagio. Andrea era solare, allegro, ottimo studente. E quindi la domanda che i suoi cari si posero, per la prima volta quel 20 novembre 2012, è necessariamente diventata anche la mia come autore: PERCHÉ? Non PERCHÉ il bullismo abbia spinto Andrea in un angolo dal quale ha sentito di non avere via di uscita bensì PERCHÉ Andrea si sia consegnato al Silenzio, convinto che lo avrebbe protetto e traghettato verso l’età adulta. Se la madre non avesse avuto la password del suo profilo, oggi non avremmo mai saputo cosa gli stava succedendo. Dopo molte ore di colloquio con la madre di Andrea, Teresa Manes, e anche grazie al prezioso contributo del padre Tiziano Spezzacatena, ho scritto cercando di spiegare il perché Andrea abbia deciso di tenersi tutto dentro, di fatto condannandosi a morte. Nella sceneggiatura, come in questo romanzo, viene semplicemente tratteggiata una realtà, viene fornito uno spunto, e poi si lascia che il lettore/spettatore tragga le sue conclusioni, senza che sia l’autore a dirgli cosa pensare o, più visceralmente, cosa provare davanti ai fatti narrati. Abbiamo evitato di fare una lezione di educazione civica. Non ci siamo sostituiti agli insegnanti, ai genitori, ai Presidi, ai Giudici. Abbiamo volutamente lasciato che chiunque alla fine del film si potesse guardare dentro e capire se, facendo dei cambiamenti, rischia di rendere la vita di un altro un po' più sopportabile, un po' più facile, un po' più felice.
Roberto Proia
28/10/2024, 11:05