VENEZIA 82 - FILM DI STATO di Roland Sejko
Raccontare la storia attraverso le immagini significa confrontarsi con la loro natura ambigua, soprattutto quando provengono da archivi di regime. È la sfida che ha affrontato il regista
Roland Sejko (“Anjia – La nave”, David di Donatello Miglior documentario; “La macchina delle immagini di Alfredo C.”, Nastro d’argento miglior docufilm), autore del documentario “
Film di Stato” presentato alle Giornate degli Autori e nato da un lungo lavoro sugli archivi storici italiani e albanesi.
Dalla fine della seconda guerra mondiale e per oltre quarant’anni, la storia dell’Albania si intreccia indissolubilmente con quella di un solo uomo: Enver Hoxha, che ha guidato il Paese attraverso alleanze effimere e rotture radicali, fino a condurlo all’isolamento totale. “Film di Stato” racconta quei quarant’anni di regime comunista albanese attraverso le immagini che il potere ha prodotto per raccontare sé stesso. Costruito interamente con materiali d’archivio spesso inediti, il film è un viaggio in immagini e suoni all’interno di un regime che fece del cinema uno strumento di potere. Una produzione e una distribuzione Luce Cinecittà
“Non scavo negli archivi, li abito”, racconta il regista. Dopo trent’anni di ricerca nelle raccolte cinematografiche del Luce e dopo precedenti esperienze con il materiale d’epoca albanese, ha sviluppato una relazione quasi personale con le immagini. “Le ricordo come se le avessi vissute”, confessa. Per questo nuovo lavoro ha scelto un approccio radicale: spogliare il repertorio dall’impianto propagandistico che lo accompagna, fatto non solo di immagini, ma soprattutto di suoni, musiche e testi che nei cinegiornali costruivano consenso.
Il risultato è un film che restituisce alle immagini una voce inedita, grazie a un tappeto sonoro creato ex novo con rumori della natura, passi, macchine, voci di gente comune. “Nessun commento esterno, solo i suoni della vita. Ho voluto che le immagini respirassero libere”.
Nell’analisi del regista, emergono con forza i meccanismi ricorrenti della retorica visiva dei regimi: parate imponenti, folle sorridenti, assenza totale di volti tristi. “È difficile definire una cornice precisa, ma la propaganda si percepisce come un’atmosfera costante”.
Ed è impossibile non collegare queste riflessioni all’attualità. “Gli eventi del passato ci devono far pensare al presente. Le dittature di ieri ci interrogano sulle democrazie di oggi, e le verità imposte allora devono spingerci a chiederci quali siano le verità che oggi accettiamo senza metterle in discussione”.
Il regista riconosce di inserirsi in una tradizione di autori che hanno lavorato sugli archivi di propaganda, citando Sokurov e il suo “Diario di un regista” sull’Unione Sovietica. “È un percorso che continua: ogni generazione di registi può guardare agli stessi materiali con un occhio nuovo”.
Quanto è importante che il cinema diventi anche documento storico? “I registi non portano verità assolute, ma racconti. Se questi racconti riescono a influire non solo sul gusto estetico, ma anche sul modo in cui riflettiamo sul mondo, allora hanno raggiunto il loro scopo”.
Il documentario seguirà ora il circuito dei festival, per poi approdare in sala grazie alla distribuzione di Luce Cinecittà. “Anche i miei lavori precedenti sono arrivati in molte sale italiane. Credo sarà così anche questa volta”.
Un percorso che conferma come il cinema documentario non sia soltanto memoria del passato, ma anche uno strumento per interrogare il presente.
07/09/2025, 08:03
Caterina Sabato