Note di regia di "Gli Occhi degli Altri"
Quando si passa in barca davanti all’isola di Zannone, nell’arcipelago delle Isole Pontine, si riesce a intravedere quel che resta di una grande villa abbandonata. Se poi siete con qualcuno che conosce la zona, vi racconterà la storia drammatica dei proprietari di quell’isola.
I marchesi Casati-Stampa, Camillo e Anna, una coppia dell’alta società degli anni ’60. Mondani e disinvolti nel mondo dell’aristocrazia: lui uno degli uomini più ricchi, lei una delle donne più belle d’Italia.
Nell’agosto del 1970 Anna viene ritrovata uccisa a colpi di fucile nello studio della sua casa a Roma insieme ad un ragazzo poco più che ventenne. È il marchese a sparare ad entrambi, togliendosi la vita subito dopo.
I giornalisti, accorsi immediatamente sul luogo del delitto, trafugano alcuni album fotografici. La vita segreta dei marchesi viene così allo scoperto: lei fotografata mentre intrattiene rapporti sessuali con sconosciuti, provenienti per lo più da classi sociali umili, pagati proprio dal marito.
Il giovane ucciso è un playboy in odore di scalata sociale. Partecipando inizialmente a quel gioco erotico e morboso aveva successivamente intrapreso una relazione sentimentale con la marchesa, rimanendone fatalmente imprigionato.
Quando scoprii questa storia decisi di andare da solo a Zannone. Sbarcato sulla banchina abbandonata, seguii un sentiero che si inerpicava su un monte bruciato dal sole. Tra le sterpaglie sentivo i passi e i crepitii di grossi animali, che accrescevano il clima di tensione e di eccitazione che si addicono ad un’avventura.
Superando un cancelletto semi distrutto, entrai nella cucina che portava le tracce di un arredamento spartano ma di gran gusto. L’atmosfera era carica di una tensione indefinita che mi riportava alla mente i racconti sui padroni di casa: la marchesa che prende il sole nuda sulla terrazza; le relazioni fisiche con decine di uomini; le fotografie scattate come fotoromanzi; le battute di caccia e le cartucce sparse per ogni dove.
Fuori il sole stava calando, decisi di tornare indietro. Sulla via del ritorno finalmente i grandi animali si palesarono: una famiglia di mufloni che saltava il recinto per correre nella fitta vegetazione alle spalle della villa. Ed è così che ho deciso dove dovesse svolgersi questo film: solo su quest’isola - il loro giardino segreto.
Cominciai a cercare informazioni sulla vita dei marchesi, comprai libri, riviste d’epoca, collezionai tutti gli articoli pubblicati su di loro e tutto ciò che era disponibile in rete. La ricerca non fu comunque molto fruttuosa ed anche sul delitto c’erano poche informazioni precise, non fu nemmeno svolta un’inchiesta perché non c’erano superstiti e il caso fu archiviato senza una verità definitiva.
La cronaca è molto lacunosa e piena di gossip pruriginosi e diffamatori, e io - insieme agli sceneggiatori - ci chiedevamo perché questa storia dovesse essere raccontata proprio oggi. Siamo così diversi da allora?
Ci fu quindi immediatamente chiaro che dovevamo prendere una strada autonoma: raccontare una tragedia che si consuma sotto il sole accecante di un’isola, le stagioni di una relazione che si trasforma in un incubo, l’occasione per esplorare il confine tra amore e violenza.
Un film su un passato decadente, che affonda le sue radici nel fascismo, può essere la lente con cui guardare il nostro presente tragico e irrisolto. Non un film d’inchiesta, quindi, né una crime fiction, ma un film che parte dalla cronaca per andare a ricercare qualcosa di diverso, senza nessun tipo di approccio nostalgico al passato. Un viaggio nel tempo: dal mondo
dannunziano e decadente della nobiltà nel dopoguerra, al revenge porn e il femminicidio di oggi. Come i passeggeri del Titanic, i personaggi affrontano la vacuità dei loro privilegi con grande superficialità, inconsapevoli che stiano per entrare in un baratro senza uscita. Passiamo infatti in un attimo dalla spensieratezza della Dolce Vita alla brutalità dell’arrivo degli Anni di Piombo.
Fin dal mio esordio ho raccontato le classi sociali privilegiate, affrontandole nei loro aspetti più nascosti e talvolta equivoci, insieme al loro rapporto con il potere. Un potere che, se gestito senza nessun ideale, porta verso abissi pericolosi.
Andrea De Sica