Note di regia di "Breve Storia d'Amore"
Ho scritto la prima bozza di questa storia molto tempo fa. Avevo venticinque anni, e idee intransigenti e assolute sulle relazioni – quella perentorietà che si può avere solo davanti a cose di cui non si sa niente. Quando ho ripescato quel vecchio soggetto, anni dopo, mi sono trovata davanti le stesse domande da cui ero partita. Cos’è una coppia? Come funziona, quali sono i suoi confini, cosa la tiene insieme e cosa la fa naufragare, cosa è lecito e cosa inaccettabile nell’unione tra due individui? Solo che di risposte non ne avevo più, non così perentorie almeno. “Non c’è niente di più impenetrabile di una coppia. Non riesci a capirla una coppia, neanche quando ne fai parte” dice Yasmina Reza in Felici i felici. E se non riesce a capirla lei, figuriamoci io. D’altra parte, proprio ciò che è misterioso e impenetrabile merita di essere esplorato.
Da qui l’idea di fare di questa storia il mio primo film da regista, cercando una strada personale al tema più logoro del mondo: lei, lui, l’altro – e l’altra. Avevo in mente un tono e un ritmo preciso, il languore dei pomeriggi in un albergo in disarmo, i dialoghi dopo il sesso, le bugie guardandosi negli occhi, le risate di chi ride insieme per la prima volta, l’inquietudine di chi vede la propria vita partire alla deriva. Volevo che fosse un film serio ma non drammatico, essendo l’ironia lo strumento più affilato per andare in profondità. E volevo che avesse un passo di racconto capace di coinvolgere lo spettatore, depistandolo e interrogandolo come in un mistery o in un thriller psicologico.
Ho cercato di osservare questi quattro personaggi alla giusta distanza, come il protagonista guarda le sue formiche nella teca: creature che si affannano, ignare che il mondo non si esaurisce in quella scatola di plexiglass. Li ho raccontati senza giudizio, rispecchiandomi in ognuno di loro, perché tutti abbiamo tradito, siamo stati traditi, o siamo stati l’altra donna, l’altro uomo. E in questo storto triangolo ho voluto creare un legame tra le due donne in cui una salva l’altra, donandole un’altra prospettiva e gli strumenti per uscire dalla teca in cui ha ristretto il suo orizzonte. Alla fine, ho capito che l’unico atteggiamento possibile di fronte al mistero è accettarlo. L’esistenza dell’altro, la sua vita intima, desiderante e segreta, così come la propria. E che la vita di coppia è, come nella scena iniziale, una partita a scacchi in cui nessuna strategia può salvarti dal prendere un pugno in faccia, e sanguinare.
Ludovica Rampoldi