Note di regia di "Illusione"
Un pomeriggio già buio in un bar di Città della Pieve ho letto un articolo, ma proprio un trafiletto, sul Corriere dell’Umbria. Raccontava del ritrovamento in un fosso al margine della superstrada di una giovanissima prostituta slava che dapprima era stata creduta morta.
Questo germe è stato lì a crescere per anni in modo del tutto inconsapevole. Ogni tanto ci ripensavo, a quella ragazzina del fosso, chi era, che cosa le era successo. Non ho mai saputo niente di più. Quindi è tutta immaginazione, e parecchia ricerca di mondi che non conoscevo.
Cercavo di scoprire ciò che era probabile. Ma non mi interessava un film sociologico, quanto piuttosto la scoperta di una persona, una biondina di sedici anni (ormai era bionda), e cercare di capire cosa le era successo e come lei, proprio lei, e non l’esercito delle prostitute minorenni, era finita nel fosso. Così si delineava nella fantasia un film invernale e piovoso, con una Perugia medievale, fredda, eppure ogni tanto sgorgava un fiotto bollente come di terme sotterranee. Anche in situazioni difficili, difficilissime, esplode lo strano bollore dei rapporti umani. E così insieme a Rosa Lazar è emerso Stefano, il suo psicologo incaricato dai servizi sociali, Suor Lucia, la direttrice della struttura protetta comunale dove è stata rinchiusa, e le forze dell’ordine, il vice questore Pizzirò responsabile del ritrovamento e delle
indagini per conto della PM Cristina Camponeschi, metallica rappresentante della Giustizia. Quella grande.
Trascinata dai personaggi, faccio il film. Ogni immagine è determinata da loro. Ogni ambiente, ogni luce, ogni spazio, ogni movimento di macchina segue il loro pensiero, recondito o manifesto. Sono i personaggi i responsabili o i colpevoli della trama. A volte mi sembra di non fare nulla, di essere solo un vettore, la loro vita mi attraversa da parte a parte e devo mettermi lì, se mi riesce stando zitta, e raccontarla.
Francesca Archibugi