Note di regia di "Avemmaria"
Quella di Felice è una lotta per la sopravvivenza per emanciparsi dal contesto di povertà e violenza in cui è immerso. Felice però è solo un bambino e l’unica strada che può percorrere per evadere da quel mondo disfunzionale è aggrapparsi tenacemente ai suoi sogni, alla sua
capacità di immaginare una realtà alternativa. Felice sa che, così come per il paracadutista di plastica con cui gioca, la forza di gravità di quel mondo che vorrebbe schiacciarlo al suolo può essere vinta. Volare è possibile ma il muro immaginario che lo circonda è difficile da valicare.
Credere che oltre quella prigione esista la libertà è un compito arduo per un bambino di dieci anni quando ciò che lo opprime è morte, indigenza, violenza, paura e rabbia. Quel mondo divora i sogni, appesantisce chi prova a salire in alto, aggredisce sul nascere ogni germoglio di emancipazione. Inoltre i diversi fanno paura, perché se andare oltre è un viaggio personale dell’eroe, il contesto che lo circonda teme quella possibilità.
AVEMMARIA nasce dal mio romanzo “Se vuoi vivere felice”, pubblicato per la casa editrice
EINAUDI nella collana Supercoralli, che ha avuto tre ristampe ed è stato presentato a migliaia di lettori giovani e adulti in tutta Italia. Ho un ricordo vivo degli anni dell’infanzia trascorsa a Pianura. Un quartiere simulacro della provincia del mondo, luoghi che, anche se le circostanze sono diverse, sembrano rispondere alle stesse leggi non scritte ma fortemente condizionanti.
Una provincia universale che affonda le sue radici nella povertà e nella violenza. Anche se nella nostra storia la localizzazione è caratterizzante, tuttavia non si tratta della sola provincia napoletana ma di un luogo trasversale, una dimensione esistenziale sospesa nel tempo abitata da uomini oppressi dai loro stessi desideri. Destini che prescindono da un’epoca o da una appartenenza culturale e territoriale specifica perché, oggi come allora, le loro vicende si somigliano e si ripetono ovunque nel mondo si scivoli ai margini della storia.
AVEMMARIA quindi non è un racconto di camorra. La genesi e il radicamento della violenza
criminale in provincia sono solo marginali nella vicenda. Non sono infatti gli eventi legati al sangue ad essermi rimasti indelebili. C’è qualcos’altro che accade dietro le quinte della cronaca di quelle province dell’anima, una lotta non visibile ad occhio nudo che si consuma sullo scenario del quotidiano vivere, uno scontro in grado di piegare destini al pari della violenza esercitata o subita. È questa lotta intima che sentivo il bisogno di raccontare e che
spesso rimane in secondo piano rispetto alla narrazione orizzontale del disagio delle periferie. Le vittime della violenza non sono solo i corpi riversi sull’asfalto, ma quell’esercito di non vivi privati dei loro sogni. Devo al bambino che sono stato, e alle persone che ha avuto la fortuna di incontrare, la capacità di credere che quel mondo cruento potesse essere vinto con la forza dell’immaginazione.
Esiste un’uscita dall’inferno, ma quella porta la si può vedere solo ad occhi chiusi.
Fortunato Cerlino