Note di regia di "Padrone e Sotto" di roberto-c
Possedere il mondo sotto forma di immagini
significa, esattamente, risperimentare l’irrealtà
e la lontananza del reale (Susan Sontag)
I nostri primi due film li abbiamo girati nel formato quasi quadrato del 4:3. Forse spinti dalla volontà di instaurare un dialogo alla pari con le immagini d’archivio. Una spinta ulteriore deve esserci arrivata direttamente dalla luce che nei vicoli di Napoli piomba dall’alto, tuffandosi tra i palazzi a disegnarne i contorni. Serve verticalità per raccontare la stratigrafia che va, salendo e scendendo, dai bassi alle antenne; occorre tenere in un unico sguardo quel groviglio indistricabile di miseria e nobiltà. Però questa volta abbiamo aggiunto inquadrature in 16:9, lasciando che le immagini si comprimessero e dilatassero a mo’ di fisarmonica. Sempre evitando però tutto quanto c’è di panoramico, sottraendoci con testardaggine a una certa narrazione oleografica della città, fatta troppo spesso di vedute che non guardano. Da un lato riduciamo lo spazio filmico per evitare distrazioni, ammiccamenti, dall’altro dilatiamo lo sguardo, ne invertiamo la rotta, per stare nel fuoco, fondendoci con la realtà senza rinunciare a mischiarla con una menzogna feconda di sortilegio.
E allora in questo film cose e persone compaiono e scompaiono, scavano e sono scavate, sono visibili eppure non percepite, avanzano e indietreggiano nel tempo. Vediamo dipinti giganti che scompaiono e riappaiono, volti di glassa che vengono masticati, drappi cuciti e scuciti, suoni di botte e visioni assordanti. È l’eterna battaglia delle immagini, che sono ovunque eppure rischiano di perdersi nella continua inondazione del presente mediaevo.
Tra noi, per ridurre all’osso questo film, parlavamo di Schiacciati, Sfruttati, Indomiti. I primi, stretti nella morsa di uno stigma di matrice “razziale”, difficilmente sforano dal circuito criminalità-carcere-morte (Ugo). I secondi – larga maggioranza – per miracolo sfuggiti alla devianza, piombano nel tritacarne del lavoro miseramente salariato. Accantonate velleità di qualsiasi tipo finiscono con il chiudersi in quell’alveo familiare che costituisce la loro prigione (Pio). Agli Indomiti invece succede di deragliare da una traiettoria preconfezionata perché a un certo punto del loro cammino qualcuno (Eddy, Mimì) gli mostra che mettersi insieme ad altri – aldilà dei meri intenti di sopravvivenza – restituisce quella gioia e quella consapevolezza che la società capitalista tende deliberatamente a seppellire (Angelo, I disoccupati organizzati tutti). Lotto dunque sono. Perché solo così, forse, si potrà “interrompere il flusso delle lacrime ereditarie”.
roberto-c02/12/2025, 15:25