Note di regia di "Cloro" di Filippo Marasco
L’idea di "
Cloro" nasce da una suggestione: far sentire, tramite il mezzo cinematografico, una realtà febbricitante ed allucinata. Sono affascinato dall’idea di “malattia” e da come una condizione fisica del corpo possa influenzare la percezione di ciò che stiamo vivendo, ma anche dal necessario controcampo, cioè da come un corpo malato sia oggetto tangibile nella vita di qualcun’altro.
Raccontare la dolcezza di un rapporto, vuol dire, a mio avviso, non raccontare mai la bellezza estetica. Raccontare la bellezza è troppo facile, raccontare l’euforia e la gioia è ricattatorio, l’amore esiste, a mio avviso, sempre a dispetto della realtà. L’amore è un affronto davanti a ciò che ci terrorizza, è un gesto terribile, inconsulto, incomprensibile dall’esterno, per questo credo che ogni storia d’amore sia anche, fondamentalmente, una storia di inquietudine.
Il film ha un linguaggio minimalista, una narrazione fatta di tempi lunghi, gesti fisici compiuti dagli attori nella loro interezza, sporcizia e sudore, volevo insomma raccontare tramite la tangibilità dell’inquadratura, tramite i corpi e il loro rapporto, volevo cercare la realtà al di là del realismo in senso stretto, in un cinema di immagini, e tramite di esse avvicinarmi a ciò che davvero mi interessa: L’ipnosi.
La narrazione di “
Cloro” è quindi più vicina ad un linguaggio poetico e visivo che a quello classico, senza però rinunciare ad un arco narrativo scandito dalla progressione del rapporto tra Iris ed Elia. La trama di “
Cloro” è semplice, ma la natura archetipica del rapporto e la sua evoluzione, mi ha permesso di indagare su elementi estetici e tematici che ritengo interessanti ed affini a me e alla mia generazione (la malattia, i ruoli di potere nei rapporti interpersonali, la solitudine e l’incapacità di vivere relazioni umane sincere, etc.) tramite un linguaggio indiretto. Credo che un film, o in generale un’opera d’arte, debba soprattutto generare domande.
Filippo Marasco