Note di regia di "Una terapia di gruppo"
Raccontare in commedia le ossessioni del nostro tempo attraverso la storia di sette persone affette da DOC, i disturbi ossessivo compulsivi, mi è sembrata subito un’occasione preziosa. Perché il tema contiene e richiede una grande attenzione nel trattare problematiche comportamentali e sociali in cui tutti ci possiamo immedesimare (e non sembra ma ci riguardano davvero tutti, in un modo o nell’altro, se non nelle manifestazioni esteriori quantomeno nelle ragioni che questi disturbi scatenano) e al tempo stesso perché offre situazioni che si prestano a essere osservate con lo sguardo della commedia senza dover forzare mai la mano. E se è vero, ed è vero, che la commedia, come ci hanno insegnato i maestri del nostro cinema, nasce sempre dal dramma, oggi ancora di più che in passato avvertiamo tutti, credo, da chi le storia le racconta a chi le guarda, l’esigenza di dare sostanza a una commedia con un approfondimento psicologico e una messa in scena con un suo peso specifico. Il primo passo in questo senso è stato scegliere un cast originale e di qualità, un gruppo eterogeneo ma affiatato in grado di sfruttare al meglio tutte le sfumature, nelle situazioni più divertenti ma non solo, per rendere giustizia a un argomento così sensibile che evoca temi come la diversità, il senso di inadeguatezza, il giudizio degli altri e l’accettazione di sé, da cui dipende in gran parte il grado di felicità nella vita di tutti noi. La coralità del cast e l’unità di luogo e di tempo mi sono apparsi, poi, come già in altre occasioni sia da sceneggiatore sia da regista, più uno stimolo che un limite. Mi affascinava la sfida di amalgamare un cast così vario e ricco e di muovermi in un unico spazio facendo in modo da aumentare la tensione narrativa. Partendo da una pièce molto ben scritta ci siamo poi anche potuti permettere di arricchire il passato dei personaggi e di offrire loro un’evoluzione che rendesse ancora più divertente, sorprendente ed emozionante il finale che li vede protagonisti. Tutto questo senza naturalmente la pretesa di far superare a tutti (ai protagonisti della storia così come agli spettatori che in quei tic e in quelle manie si rispecchiano) troppo facilmente le ossessioni che gli impediscono di relazionarsi con gli altri, ma garantendo loro un giusto sguardo, divertito e affettuoso, che gli permetta di viversela appena un po’ meglio. A loro come a noi.
Paolo Costella