VENEZIA 82 - “L’isola di Andrea”: Capuano,
Saponangelo e Marchioni raccontano la separazione
attraverso gli occhi di un bambino
Un film che non si rifugia mai nella convenzione: al centro non c’è soltanto il conflitto di coppia, ma lo sguardo puro di un bambino. Con “
L’isola di Andrea”, Antonio Capuano racconta la ferita della separazione familiare attraverso un film imprevedibile e intenso. Protagonisti sono Teresa Saponangelo e Vinicio Marchioni. Presentato Fuori Concorso all’82° Mostra del Cinema di Venezia, il film arriva nelle sale dal 2 ottobre con Europictures.
Marta e Guido hanno smesso di stare insieme. Andrea, otto anni e figlio unico, rende più problematica la loro separazione. I due adulti richiedono dunque al tribunale dei minorenni una “sentenza giudiziale” che disciplini, in via definitiva, quanti giorni Andrea debba stare con la madre, quanti con il padre. Il magistrato dispone colloqui e perizie, che costringono tanto i genitori quanto il bambino ad approfondire, laddove possibile, le ragioni dei rispettivi disagi e desideri. Il piccolo Andrea, in particolare, soffre il tempo che gli viene sottratto, così come il sentirsi “conteso” tra due genitori cui vuol bene alla stessa maniera.
“La sceneggiatura di Antonio era già fuori dagli stereotipi”, ha spiegato Saponangelo durante l’incontro con la stampa. “Affronta un passaggio poco raccontato ma diffusissimo: la perizia psicologica. Quando i genitori sono in conflitto e non riescono a trovare un accordo, il giudice chiede a uno psicologo di indagare sulla loro capacità genitoriale. È un momento delicatissimo, perché lì si misura il dolore e l’incapacità di comunicare. Antonio ci ha portato dentro questo spazio, dove l’accento è sull’occhio del bambino, che vive tutto prima e più intensamente degli adulti”.
Vinicio Marchioni, alla sua prima collaborazione con Capuano, ne ha parlato come un’esperienza radicale: “Per me è stata una scoperta totale. Con Antonio nulla è convenzionale: non ho mai letto la sceneggiatura dall’inizio alla fine. Ho capito che la cosa migliore era affidarmi a lui, e all’incoscienza del mio personaggio, un padre incapace di rendersi conto di ciò che accade: non pensa al figlio, non pensa alla moglie, non capisce neanche il giudice. Ho cercato di vivere questo spaesamento senza difese, lasciandomi guidare”.
Il lavoro sul set ha unito disciplina e libertà. “Capuano è molto rigoroso rispetto a quello che scrive”, ha sottolineato Saponangelo, “ma ogni giorno la scena nasceva nell’attimo. C’era improvvisazione, pur dentro una scrittura precisa. Io, che sono separata, riconoscevo subito la verità del film. E Vinicio, pur non avendo esperienza diretta, ha colto l’emozione più autentica: la paura di perdere il proprio bambino. Una verità che mi ha commossa”.
La dimensione anticonvenzionale emerge anche dalle scelte di casting: accanto agli attori, Capuano ha voluto figure reali, come Marina Ferrara, ex giudice dei minori che interpreta una psicologa. “Questa aderenza al vero”, ha commentato Saponangelo, “rende il film ancora più potente. La scrittura di Antonio non è naturalistica, ma risuona vera emotivamente. E poi lui gira primi piani strettissimi: occhi, volti, sentimenti. È un regista di emozioni”.
“Antonio è un universo a parte”, ha detto Marchioni. “Una volta mi ha detto: “Noi uomini siamo di cristallo, quando ci crepiamo andiamo in mille pezzi e non ci ricomponiamo”. Quella frase è stata la mia bussola sul set”.
Al centro della storia sempre il bambino. Capuano lo racconta con parole che oscillano tra poesia e rabbia: “I bambini giocano, e noi adulti ce ne dimentichiamo. Diventiamo lavoratori indefessi, smettiamo di inventare. Invece i bambini sono liberi, ed è da loro che dovremmo imparare. In questo film due genitori si tirano il figlio come fosse un bottino, e lui scopre presto che l’isola non c’è. È una tragedia capire a otto anni che nessun rifugio ti salverà”.
Il regista non nasconde il suo sguardo severo sugli adulti: “È terribile vedere due cosiddetti grandi che si ammazzano per avere il bambino. Il cuore del piccolo sta bene con la madre e con il padre, ma noi lo tiriamo da una parte e dall’altra. È così che perde la sua isola, la sua innocenza”.
Con “L’isola di Andrea”, Capuano firma un’opera che parla di genitori e figli, di conflitti e assenze, ma soprattutto di sguardi. Uno specchio impietoso della fragilità adulta, filtrato dalla sensibilità di un bambino. E, come spesso accade nel suo cinema, un invito a non dimenticare il gioco, la leggerezza, la parte più vitale dell’infanzia.
06/09/2025, 14:02
Caterina Sabato