Note di regia de "Le Stanze di Verdi"
Il film nasce da un desiderio antico: quello di Giorgio Leopardi, produttore e appassionato verdiano, che aveva immaginato un documentario capace di restituire un’immagine nuova e meno conosciuta di Giuseppe Verdi. Non soltanto il sommo compositore, ma anche l’uomo curioso, agronomo, filantropo, imprenditore agricolo, patriota e benefattore. Ho raccolto gli appunti e le intenzioni lasciati da Giorgio e da chi mi aveva preceduto e li ho trasformati in un viaggio, un road movie attraverso i luoghi verdiani, guidato da Giulio Scarpati, attore che con generosità si è prestato a vivere l’esperienza con autenticità e senza filtri. Per orientare il nostro cammino ci siamo ispirati al libro di Marco Corradi (protagonista dotto, simpatico e vivace del racconto grazie a un aneddotica vastissima), Verdi non è di Parma, un’opera che ci ha aiutato a mappare i luoghi e le storie legate al Maestro. Non abbiamo tuttavia voluto raccontare un Verdi “di Parma” o “di Piacenza”, né un Verdi conteso da territori: abbiamo scelto di restituire l’immagine di un uomo che apparteneva a tutti, che lavorava per l’idea di un’Italia unita e non divisa, e che ancora oggi è patrimonio condiviso. Il documentario (che segue l’efficace traccia elaborata dal preziosissimo Luca Pallanch e da Tommaso Avati) è stato realizzato in maniera molto improvvisata, lasciando che il viaggio stesso suggerisse le nuove tappe, un percorso aperto, capace di seguire direzioni impreviste, di accogliere gli incontri e i racconti che via via si presentavano. Abbiamo sfruttato l’autenticità del momento, la sorpresa, l’immediatezza di un dialogo mai preparato. In questo modo di procedere è per me stata molto utile la grande lezioni impartita dal mio maestro: Pupi Avati, un autore attento alla scrittura, ma anche capace di cogliere e sfruttare tutti gli stimoli (paesaggi, attori, condizioni metereologiche e avversità) che il set, come la vita, finisce per offrirti. Il film si fonda sull’idea di incontro: non interviste costruite, ma dialoghi spontanei con studiosi, musicisti, appassionati e persone comuni che vivono ancora l’eredità del Maestro. È in queste conversazioni improvvisate che emergono i tratti più sorprendenti della sua personalità: l’uomo che costruì un ospedale per i contadini, che sperimentava nuove tecniche agricole, che fondò una casa di riposo per musicisti, che seppe coniugare arte e vita concreta. La Jaguar d’epoca guidata dall’avvocato Corradi diventa il filo conduttore del movimento nel piacentino, il veicolo che attraversa le campagne, trasformando il paesaggio in un personaggio del film. L’approccio registico è volutamente leggero e curioso: i luoghi vengono osservati con lo sguardo di chi entra per la prima volta, senza schemi didascalici, affidandosi alla sorpresa. Giulio Scarpati (e per questo non lo ringrazierò mai abbastanza) non sa quasi mai in anticipo cosa lo aspetta: il suo stupore diventa quello dello spettatore.
Con il direttore della fotografia Marco Sgorbati abbiamo privilegiato l’uso della luce naturale che rafforza la sensazione di un viaggio autentico. Per una gran parte del film, l’obiettivo (non solo quello dei protagonisti, ma anche quello della produzione) è stato quello di arrivare a Villa Verdi, la dimora che il Maestro fece costruire a sua immagine e somiglianza e in cui compose molte delle sue opere più importanti. Un luogo carico di valore simbolico, ma da anni chiuso al pubblico a causa di complesse vicende ereditarie, che hanno contribuito anche al degrado del parco circostante. La Villa rappresentava un traguardo, un sogno condiviso, il desiderio di poter varcare quella soglia. Ma questo desiderio, come per tanti appassionati, non è stato possibile realizzarlo. Proprio questa impossibilità ha reso il viaggio ancora più significativo: un percorso fatto di scoperte, di incontri, di racconti che hanno restituito la vitalità di Verdi attraverso ciò che resta vivo nei luoghi e nelle persone, più che nelle mura chiuse della sua casa.
Riccardo Marchesini