Note di regia di "Io sono la Storia delle Altre"
Questo lavoro è il frutto di un laboratorio durato poco più di due ore. Sapendo che sarebbe stato un incontro fugace, avevo pensato a un gioco semplice dove potessero imparare a stare davanti allo sguardo della telecamera, in confidenza, senza chiedere confessioni, senza giudizio – avevo detto che potevano raccontare un sogno, cantare una canzone, stare in silenzio - e dunque le avevo proposto di filmarsi reciprocamente. Poi c’erano delle riprese di loro, in silenzio, come dei piani d’ascolto. C’era infine una telecamera che riprendeva il “backstage” dell’incontro. Un dispositivo molto basilare.
Quando ho visto il materiale, ho sentito che dovevo lasciare le registrazioni nell’ordine in cui si erano svolte, perché una storia nasceva dall’altra. Le storie di rispondevano come in un coro.
Ho solo deciso di isolarle l'una dall'altra, di dare un respiro ad ognuna, un silenzio, come se ognuna si immergesse nella propria storia e nell’ascolto della storia delle altre. Come in un arcipelago di vissuti, ognuna è come se fosse altrove, fuori da questa sala, nella sua intimità. In questo silenzio ho messo i ritratti, e i nomi. Come a dire che ora tocca a te. Come a dare ad ognuno spazio di ascolto.
Non ci sono storie strazianti, estreme. Sono storie semplici, sono donne che si sono ritrovate in carcere, per delitti che non fanno nemmeno cronaca. Tutto molto semplice. Proprio per questa semplicità ci tenevo a mostrare questo lavoro. In queste due ore passate con loro c’era per me un mondo, ogni storia è un mondo, sconfinato.
Se il carcere è lo specchio della società che lo produce, dobbiamo prendere atto che è un luogo di vita sospesa, di non vita, e che allora è la società che produce il carcere che sprofonda in questa morte in vita. Bisogna raccontare storie, mille e una storie, per combattere la morte, diceva Elias Canetti.
Giovanni Cioni