Note di regia di "Aldo, Giovanni e Giacomo - Attitudini:Nessuna"
Ho iniziato la mia formazione lavorando da aiuto regista in molti dei film di Aldo Giovanni e Giacomo e Massimo Venier, hanno interpretato il mio secondo cortometraggio Un Filo Intorno Al Mondo (candidato ai Nastri d’Argento 2006) e in ogni occasione d’incontro, i loro racconti ed aneddoti sul loro percorso hanno suscitato la mia curiosità. Non ho smesso, nel tempo, di corteggiarli con un progetto che li raccontasse “da dentro”, con il desiderio di esplorare la loro storia pubblica e privata che ai miei occhi somiglia un po’ a una favola.
Dopo la mia esperienza di documentario con RITALS, la storia di emigrazione della mia famiglia dall’Italia alla Francia, e dopo Il CERCHIO, un documentario che racconta i 5 anni di scuola elementare di una classe di bambini, ATTITUDINI: NESSUNA parte proprio dove finisce IL CERCHIO: dai bambini che sono stati Aldo Giovanni e Giacomo. Erano tre ragazzini un po' “sfigati” - per parafrasarli - che per provenienza sociale avevano un destino già scritto, ma che grazie all’esistenza di luoghi oggi quasi scomparsi, di incontri con persone dallo sguardo rivolto agli ultimi, altri con persone e personaggi con un’idea di collettivo molto forte, ma soprattutto grazie all’incontro tra loro tre e ai valori che hanno retto il loro percorso umano e artistico, questi tre “sfigati” hanno smentito il giudizio che dall’alto non attribuiva loro, come dice la pagella ritrovata di Aldo, nessuna attitudine.
A stimolare ulteriormente il desiderio di raccontare la loro storia è anche il fatto che potessero raccontarsi in qualche modo da sé. È da questo aspetto specifico del “partire da sé” che il film intraprende un viaggio a ritroso dai sé di oggi ai sé degli inizi e prima ancora, per scoprire che in fondo Aldo Giovanni e Giacomo non sono mai realmente cambiati da quando, da bambini, giocavano all’oratorio e fabbricavano i loro sogni per il futuro. È così che inizio a dialogare con loro, filmandoli da una prospettiva privilegiata: quella di una relazione di amicizia e fiducia cresciuta in questi anni e che oggi ha messo insieme il loro mondo con il mio, quello del documentario. Con la telecamera in mano come estensione del mio sguardo, divento uno strumento attraverso il quale raccontarsi in maniera inedita: le nostre sono delle conversazioni tra amici, filmate in momenti diversi, a volte stando tutti insieme, a volte in situazioni più intime, e sono loro tre a farci incontrare i loro mondi e a interrogarli. Questa modalità ha permesso di non snaturare il loro linguaggio che vive dell’ora, dell’improvvisazione, dell’ogni volta diverso.
Sono io stessa spettatrice di quello che accade con loro, come sono stata spettatrice di una storia italiana che non conoscevo, del racconto di una Milano che si apriva davanti ai miei occhi, spettatrice che scopre insieme al pubblico il dietro le quinte di un mondo. Infatti, il film è anche un’occasione per ripercorrere un pezzo della storia dell’intrattenimento in Italia che, da mezza francese cresciuta fuori, mi era un po' estranea. Milano è la prima città italiana che ho scoperto appena arrivata in Italia. Ritrovarla oggi permette un viaggio nella sua trasformazione. È una città nei confronti della quale tutti, loro tre ed io, nutriamo un sentimento di gratitudine per aver dato una possibilità alla quale forse, altrove, sarebbe stato più difficile accedere. Una delle cose che mi ha colpito di più, è la libertà di sperimentare che hanno avuto Aldo Giovanni e Giacomo, la possibilità di sbagliare e ricominciare. Non so se oggi esista più questa libertà.
È un film sul tempo che passa, sui volti e i luoghi che si trasformano, sull’amicizia che è riuscita a rimanere intatta e genera ancora oggi, il desiderio di condividere esperienze, palcoscenici da abitare, sketch da improvvisare, pubblico da divertire, su desideri che continuano ad accendersi.
Il film racconta il Trio rivelando anche gli uomini che sono con le loro forze e fragilità, la dinamica di relazione tra loro e la magia che accade sotto ai nostri occhi quando si ritrovano: il trio è un unico clown che prende vita appena i tre sono insieme, qualunque sia lo spazio e l’occasione di ritrovo.
Inoltrarmi nella loro storia e scoprirla, è un po’ come svelare i segreti di una possibilità, quella di farcela da qualsiasi punto di partenza. Il documentario permette di scoprire mentre si sta filmando, di lasciarsi sorprende da direzioni inaspettate che proprio per sua natura, questo genere di film sa cogliere e accogliere. Con questo progetto, prendo per mano il pubblico e lo porto insieme a me in questo viaggio, le cose accadono davanti all’obiettivo della mia telecamera, davanti al pubblico, come se fosse seduto con me sul divano di casa di Giovanni.
Grazie a tutti questi ingredienti, il film non è soltanto la storia del Trio ma è molto più arioso perché spoglia i tre re della comicità dalla loro veste di personaggi famosi e li racconta nella loro nudità di essere umani, come siamo tutti. Diventa allora racconto universale che tutti abbiamo voglia di attraversare per piangere, ridere, riconoscersi, e per sentirsene in qualche modo parte, perché tutti abbiamo bisogno, forse ora più che mai, di credere nei sogni.
È quindi la storia di un riscatto sociale non cercato ma raggiunto grazie anche, o forse soprattutto, a un’amicizia che non si è piegata alle logiche di mercato né dello show business ma ha messo autenticamente al centro della creazione ciò che ha contribuito a rendere Aldo Giovanni e Giacomo ancora oggi tre artisti tra i più amati: il rapporto con il pubblico. Un pubblico molto ampio e trasversale per età, per estrazione sociale, per gusti, che ritrova tracce della propria vita nelle loro battute, nelle scene e nei personaggi, oggi veri e propri cult. È quindi un film che parla anche di noi, dell’Italia che siamo stati in grado di essere e di quella che sarebbe così bello far esistere di nuovo.
Sophie Chiarello