TFF43 - Intervista a Michael T. Workman,
co-regista di "The Encampments"
Al cinema a partire dal 29 novembre,
The Encampments - Gli Accampamenti è un film documentario che racconta come l'attivismo di studenti e studentesse abbia inaugurato nel 2024 una nuova fase per il movimento di solidarietà con la Palestina, oggi sempre più capace di informare in merito ai vari livelli di complicità attraverso cui è reso possibile il massacro cui stiamo assistendo. Uno di questi livelli è infatti rappresentato dai rapporti che le università intrattengono con l'industria bellica e con le aziende che dalla guerra e dall'occupazione traggono profitti.
Per fermare e screditare gli attivisti, i consigli di amministrazione delle università statunitensi hanno imposto nuovi regolamenti che limitano non solo le manifestazioni di solidarietà, ma anche la semplice libertà di espressione e di critica, arrivando a permettere alla polizia di irrompere con forza nei campus per sgomberare le tende che erano state piantate e per compiere arresti e violenze. Negli Stati Uniti le persone che frequentano le università e che sono state oggetto di provvedimenti sono più di 3100 (studenti sospesi, espulsi o privati del titolo di laurea, ma anche accademici non allineati), incluso l'attivista Mahmoud Khalil, che ha scontato più di cento giorni in carcere ed è stato minacciato di deportazione solamente per essere stato uno dei portavoce delle proteste alla Columbia University di New York.
Presentato al Torino Film Festival, il film è prodotto da Watermelon Pictures e annovera tra i suoi produttori esecutivi il rapper Macklemore. In Italia è distribuito da Revolver e Valtellina.
Abbiamo intervistato
Michael T. Workman, che lo ha diretto insieme a Kei Pritsker.
Come avete conquistato la fiducia degli attivisti? E come siete riusciti a riprendere i momenti decisivi delle proteste nonostante i tentativi dell'amministrazione della Columbia University di impedire il lavoro degli operatori dei media?
Avevamo la loro fiducia da prima dell'inizio degli accampamenti, grazie al reportage che Breakthrough News aveva realizzato sulla Palestina e sul movimento filo-palestinese alla Columbia University. Una volta lì, il mio co-regista Kei Pritsker non è uscito dal campus, perché altrimenti non gli sarebbe stato concesso di rientrare. Il dodicesimo giorno della protesta, quando è avvenuta l'irruzione finale della polizia nell'Hind's Hall [così è stata rinominata dagli studenti ll'Hamilton Hall, in ricordo di Hind Rajab, la bambina protagonista della storia vera portata recentemente sullo schermo da Kaouther ben Hania, ndr], tutti i giornalisti sono stati rinchiusi in un edificio in modo che non potessero documentare ciò che stava accadendo. Le uniche riprese disponibili dell'irruzione sono quelle delle telecamere indossate dagli agenti della polizia di New York.
Uno dei protagonisti del film, Mahmoud Khalil, la settimana scorsa ha fatto causa all'amministrazione Trump per la campagna d'odio e le intimidazioni subite. Ha trascorso più di cento giorni in carcere senza una vera accusa, minacciato di deportazione, mentre nasceva il suo primo figlio. E molti altri sono stati oggetto di provvedimenti da parte dell'Università. In una lettera a The Guardian, Mahmoud Khalil ha scritto che la rettrice Minouche Shafik e i componenti dell'amministrazione sono coloro che hanno posto le basi per quella campagna che li ha presentati come anti-israeliani (nonostante di questo non ci sia una sola prova), giudizio condiviso anche dai presidenti Biden e Trump. Ritiene che questo succeda perché non c'è altro modo per colpirli e per giustificare una tale sospensione dei loro diritti garantiti dal Primo Emendamento e da altri valori sanciti dalla Costituzione?
Hanno preso di mira Mahmoud e altri studenti coinvolti nel movimento studentesco filopalestinese per cercare di zittirli e spaventare gli altri studenti indebolendo il movimento di protesta. Lo stanno facendo perché sanno che stanno perdendo la guerra dell'informazione: il genocidio del popolo palestinese da parte di Israele è diventato molto impopolare negli Stati Uniti, e questo non ha lasciato loro altra scelta se non quella di ricorrere alla repressione dura e alla strategia del terrore. La cosa paradossale è che questa repressione ha in realtà rinvigorito gran parte del movimento e lo ha reso più simpatico all'opinione pubblica. Il sequestro di Mahmoud ne è un perfetto esempio: il movimento si è mobilitato quasi immediatamente in suo sostegno, da un giorno all'altro lui è diventato una figura di spicco del movimento palestinese a livello globale e ora è molto più influente di quanto non fosse prima della detenzione.
Le organizzazioni filo-israeliane sostengono che gli studenti ebrei nei campus non siano più al sicuro. Ma nel suo film vediamo che sono stati studenti sionisti a perpetrare violenze, sia verbali che fisiche.
Le organizzazioni filo-israeliane e l'apparato mediatico che le sostiene hanno cercato di far credere che quegli accampamenti fossero focolai di antisemitismo e che gli studenti ebrei non fossero sicuri al sicuro. Ma la verità è che alla Columbia University gli studenti ebrei antisionisti erano uno dei gruppi etnici più numerosi del movimento filopalestinese. Nel film ci sono infatti riprese del rito dello Shabbat a cui partecipavano anche studenti israeliani. Negli accampamenti c'erano regole molto severe contro il fanatismo: chiunque avesse espresso commenti intolleranti nei confronti di qualcun altro sarebbe stato immediatamente allontanato. I media mainstream si sono rifiutati di mostrare questa realtà, anche quando gli studenti glielo hanno riferito. All'UCLA [Università della California] si sono verificati episodi di violenza contro i manifestanti filo-palestinesi da parte di manifestanti filo-israeliani. La polizia e l'amministrazione hanno assistito senza intervenire.
Gli Stati Uniti sono un forte alleato di Israele anche grazie al fatto che molti cittadini sono cresciuti con l'idea che Israele sia una democrazia. Pensa che questo stia cambiando? Questo sostegno sta diminuendo anche grazie all'attivismo per la Palestina?
Il sostegno a Israele negli Stati Uniti è diminuito rapidamente negli ultimi due anni. Penso che ciò sia dovuto in gran parte al fatto che le persone possono vedere attraverso i social media la realtà di ciò che sta accadendo, ma anche perché il movimento per la Palestina ha trovato modalità creative per mantenere viva la Palestina nella mente delle persone, affinché non sia dimenticata. Il movimento degli accampamenti è un ottimo esempio di questo: ha riportato la Palestina sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo e ha ispirato altre persone a fare qualcosa per combattere il genocidio.
Ci sono opinioni contrastanti sulle proteste che avete documentato e sulle loro conseguenze. Alcuni le considerano una causa perdente fin dall'inizio, perché la Columbia University non ha poi posto fine ai suoi investimenti nelle aziende coinvolte nel genocidio e nell'occupazione della Palestina. Altri ritengono invece che i risultati si vedranno nel lungo termine. Qual è la sua opinione?
Credo che non si sia trattato di una causa persa. Quando si perde una battaglia, non si è persa la guerra. Dobbiamo guardare nel lungo termine al cambiamento della consapevolezza che si è creata su questo tema. Il movimento sta crescendo e Israele sta diventando un peso notevole per le potenze che si alleano con esso, a causa della sua impopolarità. Dobbiamo anche capire che attraverso movimenti come questo le persone acquisiscono competenze concrete in termini di organizzazione che potranno poi mettere a frutto nelle lotte future. Ogni punto di svolta regge quello successivo, e quando si presenterà il prossimo punto di svolta le persone saranno più organizzate e più forti di prima. La forza del movimento palestinese negli Stati Uniti è cresciuta enormemente negli ultimi decenni, grazie al duro lavoro e alla dedizione degli organizzatori. Allora sembrava un ostacolo insormontabile, e a quegli organizzatori è stato detto innumerevoli volte di abbandonare la questione palestinese, ma loro si sono rifiutati. Grazie a questo siamo arrivati al punto in cui ci troviamo ora, con un movimento a favore della Palestina forte e in crescita.
28/11/2025, 10:00
Chiara Zanini