Sinossi *: L’incanto è un film documentario che esplora la magia del cinema attraverso molteplici sguardi. Da una parte, il maestro Pupi Avati, dall’altra la storia del Cinema Odeon di Milano, capolavoro déco inaugurato nel 1929, progettato dal bisnonno del regista e ormai chiuso. Una sala che ha segnato l’immaginario di molte generazioni, ma adesso si prepara a diventare un centro commerciale di lusso.
Dalla perdita simbolica di questa sala cinematografica nasce L’incanto, che intreccia il racconto personale con la forza dello schermo, ricostruendo un legame familiare profondo: quello tra il regista e il cinema, mediato dalla figura centrale di Pupi Avati.
Un viaggio personale e visivo tra memoria, appartenenza e immaginario collettivo, dove le conversazioni private con Pupi Avati si alternano a materiali d’archivio, momenti di backstage, e si intrecciano alle sequenze originali dei suoi film, che qui incontrano una nuova vita: l’animazione. Per raccontare non solo un autore, ma il potere stesso del cinema di incantare e trasformare.
Note:
Il film prende forma come un viaggio attraverso i temi, i paesaggi e le ossessioni di uno dei maestri del cinema italiano. Al centro del film c’è il senso di appartenenza: a una famiglia, a una ci à, a un paesaggio, a un’idea di cinema. Ma soprattutto c’è il desiderio di capire cosa sia davvero “l’incanto”: una forza invisibile che lega chi fa i film, chi li guarda, e i luoghi - sempre più fragili - dove quella magia si manifesta.
Il tra amento visivo nasce dall’esigenza di restuire un’esperienza cinematografica immersiva, capace di evocare - con un linguaggio contemporaneo - la potenza emo va e poe ca del cinema di Pupi Avati.
Quando ci siamo chiesti come rendere linguisticamente il conce o di INCANTO, la risposta naturale è stata quella di usare l’ANIMAZIONE. Sequenze iconiche del cinema di Avati vengono reinterpretate attraverso la tecnica del Rotoscoping, con illustrazioni originali realizzate dall’artista Elisabtta Bianchi. L’animazione non serve solo a “decorare” l’immagine, ma a creare nuove visioni e nuove strade personali alla meraviglia che quei film ci hanno suggerito.
La fotografia è pensata per rispettare l’atmosfera dei luoghi - le sale vuote dell’Odeon, i paesaggi italiani di provincia, gli interni bolognesi - ma con una cura cinematografica che restituisca bellezza e profondità visiva, senza eccessi estetizzante. Un linguaggio filmico ibrido, dove il documentario incontra il cinema d’autore, e dove ogni scelta stilistica contribuisce a evocare quel sentimento di incanto che il film cerca, racconta e ritrova.
L’idea è quella di comporre il film come una partitura visiva, in cui i diversi livelli temporali e materici si fondono per raccontare tanto il reale quanto l’immaginato. E a vivere non è solo l’eredità del maestro, ma il potere stesso del cinema.